
LA CAVA BIANCO TRAMBISERRA
La storia della nostra cava Bianco Trambiserra fu cominciata più di 500 anni fa, quando nel 1518 Michelangelo Buonarroti incaricato da papa Leone X, comincio ad estrarre i marmi per realizzare la facciata della chiesa fiorentina di San Lorenzo, la chiesa della famiglia Medici.
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Il 15 marzo 1518 presso il notaio Giovanni Badessi a Pietrasanta, Michelangelo Buonarroti stipula il primo di una serie di contratti per l'estrazione dei marmi dal Monte di Trambiserra (Seravezza), impegnandosi a finire i lavori entro otto anni.



La cava di Trambiserra non era collegata bene al mare e Michelangelo progettò e creò una strada per il trasporto dei marmi dalla cava Trambiserra, passando per Seravezza, Corvaia e Querceta, giunge fino a Forte dei Marmi, dove i marmi venivano imbarcati in mare e spediti a Firenze, risalendo il corso dell’Arno. Come scrisse Giorgio Vasari nella ‘Vita’ di Michelangelo “…convenne fare una strada di parecchi miglia fra le montagne e per forza di mazze e picconi rompere massi per spianare, e con palafitte ne’ luoghi paludosi , ove spese molti anni Michelangelo per eseguire la volontà del papa.”
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Dopo quasi tre anni di lavori immensi la strada era finita «e vi si cavò finalmente cinque colonne di giusta grandezza». Oltre a queste colonne Michelangelo cavo molti altri marmi, che sono rimasti sulla cava.

Una sola di queste colonne fu trasportata fino a Firenze e per lungo tempo rimase inutilizzata sulla piazza di San Lorenzo. Secondo le storici, “fu sotterrata ne’ primi anni del 1600, insieme con altri pezzi architettonici, in una fossa fatta sulla piazza lungo il fianco sinistro della detta chiesa”. Le altre colonne furono abbandonate alla marina.
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Purtroppo il Maestro non riuscì mai a completare l’opera: per la difficoltà dell'impresa e i costi elevati, il papa decise di abbandonare il progetto e la facciata del San Lorenzo rimase senza alcun rivestimento marmoreo. Questo fu un periodo veramente triste per Michelangelo: dopo quasi 3 anni di fatiche tediose e penose dover lasciare l’opera incompiuta, alla quale teneva tantissimo, e la nominava “la più bella opera che si sia mai fatta in Italia”.
